lunedì 28 maggio 2012

Un piccolo saluto

L'uomo è sempre stato il mezzo e il fine per ogni cosa. Ma dopo questo gruppo, nulla avrà più un suo significato.L'utile si assocerà al dilettevole. Il falso mangerà insieme al vero. Lo sbagliato e il giusto si racconteranno le loro infinite battaglie sorseggiando vino...Saremo tutti vincitori e vinti di una guerra che non avrà bisogno di lunghi capitoli per essere raccontata. Saremo schiavi e padroni del futuro. Saremo chiave e serratura per ogni porta.A noi il tramonto. A noi l'alba. A noi l'istante che vale molto più di tutta la giornata.L'inutile resto, l'inutile via di mezzo, lo lasceremo agli esseri convinti di non poter vivere senza la libertà della notte o la sicurezza del giorno.A loro le convinzione e a noi le possibilità.A loro le nuvole e a noi il cielo.
Questo lo definisco "Intro al gruppo". Perché a tutti piace sentirsi parte di un gruppo. Nel mio caso, io mi sento proprio così. Così come raccontano queste righe.
Grazie.

martedì 15 maggio 2012

Storie e sbadigli

Non puoi fermarti proprio ora. Dai, un altro piccolo sforzo e mi raggiungi.
Corro e corro ma non so dove vado. Niente mi è chiaro, tutto mi appare sfocato. Tranne, però, la stradina che sto percorrendo. Non so perché mi fidassi sordamente di quella vocina, ma qualcosa mi aveva spinto a farlo. Allora, continuo a correre e a correre. Quel divenire di piastrelle che vengono e vanno mi rilassa, e io, con loro, mi lascio andare. Le gambe si muovono da sole, non sento più la testa. Ma... Aspetta. Vedo qualcosa. Sta prendendo forma. Sì... è l'ombra di un essere umano!
Io so che tu lo sai. Trovami l'asse di questa parabola. 
«Parabola? Quale parabo...». La stradina si deformò, i miei movimenti si fecero per un istante lenti. In quel momento di lentezza tutto lo spazio attorno si contorse e formò una concavità che ricordava un paraboloide. Questione di attimi e cominciai a correre aumentando la velocità a ritmi portentosi. Ormai il paesaggio, quello che ne era rimasto, sembrò una zuppa di colori.
Mi stai ascoltando? La parabola, l'asse, il vertice!
«Me lo sento. Sto per raggiungere l'infinito!» ... ... ... BAM. Che botta.

Ore 08.54 - Università di Vattelappesca - Aula R107

Mi ritrovai a svegliarmi tra risatine, applausi e la minacciosa mano del professore posata a 3 cm dalla mia testa. Sì, proprio al primo banco, lì dove si era schiantata quella mano pochi istanti prima. È inutile dire che i banchi davanti sono i migliori per dormire e per non farsi beccare. O almeno, nella maggior parte dei casi.
«Ah bene. Quindi lei sta per raggiungere l'infinito. Allora le sarà uno scherzo mostrare alla classe come si trovano i punti impropri di una conica»
Dannazione. Nel sonno parlo troppo.
Mi alzo, mi stiracchio (partono le solite risatine), e mi avvio lentamente verso la lavagna, sbadigliando ogni tanto.
«Le posso offrire un caffè?» Disse il professore con aria sarcastica e mi misi a ridacchiare. "No, magari una camomilla più tardi" pensai. 
Il problema lo risolsi in fretta. Non era nulla di ché. Roba di spazi proiettivi. In fin dei conti, la vita stessa è uno spazio proiettivo, probabilmente di dimensione finita. Molto probabilmente.
C'ero che c'ero, risolsi anche l'esercizio della parabola. 
«Lei ha una bella intelligenza. Le conviene applicarsi e stare attento a lezione se vuole passare l'esame.»
Mi sedetti al posto. Presi fiato come se avessi appena scalato una montagna e dissi:
«Beh professore, questo è naturale. Non serve avere una bella intelligenza per passare un esame. Serve solo serietà e studio. Perché io so cosa tramate voi, lì, dietro la cattedra. Durante un esame squadrate ogni soggetto e nella vostra testa fate questo ragionamento:


a) Questo tipo non mi sembra serio, e neanche carismatico. Nel mondo del lavoro non verrà mai preso se non raccomandato. Posso dargli il voto che vuole, anche alto. Tanto, ai prossimi esami, che saranno più difficili, si demoralizzerà per aver preso un voto basso (per la prima volta) e lascerà l'università. Oppure, al massimo, si laureerà ma non troverà un lavoro degno della sua laurea. Così il mio errore di valutazione non cambierà nulla.
b) Questo tipo è serio. Questo tipo, un giorno, si ritroverà faccia a faccia con i problemi del lavoro. Sembra uno studioso, quindi sarà meglio dargli un voto non troppo alto, nella media, se no penserà di sapere tutto di questa materia. Gli lascerò credere che ha ancora tanto da imparare e da migliorarsi.


Sì, è questo quello che pensate. Tutti voi  professori lo pensate.»
Partì l'applauso e i "Bravo!". Il professore si mise a ridere. Continuai:
«Ma professore. Mettendola in questo modo... Io penso che non serva tutto questo. Un giorno usciremo da questa università, usciremo da questo "giro". Ma ne entreremo in uno nuovo, quello del lavoro. Nella società vivono gli eletti. Coloro che conoscono tutte le ragnatele e le trame di cui è tinta la realtà. Sanno che il mondo in cui viviamo è solo apparenza, qualcosa di cui ci hanno fatto credere dalla nascita. Da padre in figlio, abbiamo portato avanti i nomi degli oggetti, dei colori, le usanze, tutto. Magari due di noi hanno un modo "diverso" di vedere il giallo e il verde: forse uno li vede rosso e porpora, l'altro invertiti. Ma ciò non importa, perché i loro genitori gli hanno insegnato che quella era giallo e l'altro verde. Dove voglio arrivare? Che questa realtà non è reale. Questi eletti lo sanno e non vogliono che gli altri lo sappiano.»


Il silenzio. Poi una voce "Ma che cazzo ha detto?". Risate. 
Anche il professore si mise a ridere e disse:
«Bella teoria. Poi un giorno ce la dimostrerai alla lavagna». 
Si misero di nuovo tutti a ridere e ad applaudire. Intanto il professore mise le mani in tasca, prese il cellulare e ci digitò sopra. Infine, riprese a fare esercizi.

Ore Incognite - Luogo Incognito

Erano tutti vestiti di un colore diverso e sembravano essere in riunione. Stavano parlando, finché... PAM! 
Si apre la porta. Era il segretario, abito nero e camicia bianca, che, a sembrare dall'affanno e dall'aver fatto irruenza in quel modo durante la riunione, aveva delle notizie.
«Gentlemen» "Signori." Disse. «Code 7». "Codice 7"
Il silenzio.
«Color entitatem?» "Di che grado?" Disse l'ultimo in fondo, seduto come gli altri a quel tavolo a forma in ellisse. Si potrebbe dire che fosse seduto "a capotavola". Era vestito tutto di bianco, con gli occhiali da sole firmati color oro... No, aspetta. È una donna.
«Red. Italy.». "Rosso. In Italia."
«另一种情况...十二年后。» "Un altro caso... Dopo ben 12 anni." Sospirò un altro in fondo, agghindato di marrone.
«Bene» (Non penso ci voglia la traduzione ora.) Replicò un'altra donna con un vestito rosso.
«In Italia, di nuovo. Ci penserò io, farò come ho sempre fatto.»
«Sind Sie sicher? Ihre Möglichkeiten, wie ich sie nie gemocht.» "Sei sicuro? I tuoi metodi non mi sono mai piaciuti". Disse il biondo vestito di verde.
«Non vi preoccupate. Conoscete il mio modo di fare. Gli darò tutto. All'improvviso, la vita di questo ragazzo avrà la sua grande svolta. Gli daremo una delle nostre modelle. Gli daremo casa, lavoro, fama, ricchezza, famiglia. Lui penserà di aver ottenuto tutto questo grazie ai suoi sacrifici. Non si accorgerà di nulla e abbandonerà tutte le sue idee. Le abbandonerà perché per lui non avrà più senso pensarci.»
Gli altri sembravano gradire. 
«И если она не работает?» " E se non dovesse funzionare?" Disse l'abito nero. Non avevano nomi, avevano colori e abiti.
«Si deficit, adiungam nostrum. Sicut fecerunt omnes.» "Se non dovesse funzionare, lo farò entrare nel nostro gruppo. Come ho già fatto con tutti voi." Disse la donna bianca, (sembrava anche giovane, stranamente).
Così l'assemblea si sciolse e ognuno tornò ai suoi compiti.

giovedì 10 maggio 2012

L'Amore per Vendetta

Era un noioso pomeriggio primaverile e la cittadina sembrava la solita topaia. I turisti passeggiavano, come tanti marinai in divisa, per quelle viuzze fatte di mattonelle contenenti pezzi di storia. Molto spesso capitava di vedere qualche turista inciampare e ritrovarsi faccia a faccia con quella storia. Fra la gente, ogni tanto, vedevi fuggire qualche studente in ritardo; e questi, senza farlo apposta, sembravano proprio tanti topi in fuga verso la tana. O, semplicemente, erano stufi di vedere turisti, turisti e soli turisti. Eppure anche gli studenti sono stati turisti; ognuno di noi è stato turista almeno una volta. Il nostro primo passo, il nostro primo giro in bicicletta, il nostro primo giorno di scuola, il nostro primo bacio... li abbiamo vissuti come turisti. E chi se li può dimenticare? Altro che Louvre, Torre pendente, Colosseo, Statua della libertà. I nostri momenti migliori li abbiamo vissuti da turisti, abbiamo scoperto tante cose affascinanti di noi stessi e, probabilmente, ce ne siamo innamorati. Eppure, ciò non toglie il fatto che i turisti non siano sempre ben accetti, almeno psicologicamente. Sarà forse la loro spensieratezza a innervosirci, chi lo sa.
Comunque sia, era un noioso pomeriggio primaverile e i topi gironzolavano in quella topaia di città. Io mi apprestavo ad andare alla segreteria universitaria: avevo accettato di fare un lavoretto extra per guadagnare un paio di crediti. Oh! Con questi tempi che corrono, un paio di crediti in più fanno la fortuna dello studente! Fatto sta che ci misi ben 10 minuti più del solito a raggiungere la segreteria. Grazie a quella coppietta di turisti francesi/svedesi/americani/inglesi/umani che hanno scelto proprio me, fra 300.000 persone che non avevano un cazzo da fare, per farsi fare una foto. Li detesto.
Arrivato lì, mi diedero un incarico facile. Roba di Excel, Word, documenti da stampare in somma. La cosa più strana è che alla stampante non mi misero da solo. Mi ritrovai insieme ad un altro povero cristo che doveva spillare i fogli che stampavo. Certo! Col lavoro e i soldi che mancano, lasciano fare tanti piccoli inutili lavoretti a più persone. Tanto, è senza retribuzione e non ci perdono nulla. È il metodo più antico del mondo per togliersi la gente dai coglioni.
«Senti» Gli dissi. «Sta per finire la cartuccia, andiamo all'ufficio qua accanto a richiederne un'altra.».
Mi guardò e mi fissò per un piccolo lasso di tempo. Piccolo, ma che nella sua piccolezza, trattandosi di una domanda, era fin troppo lungo. Sarà forse che non mi ero manco presentato, che lui non si era manco presentato, che la stampante è roba mia, che lui è solo un povero disgraziato che forse non ci voleva manco venire a raccogliere graffette da terra. Però, prima che potesse aprir bocca, gli continuai a dire:
«Dai! So benissimo che qualsiasi scusa ti è buona per non maneggiare ancora quella spillatrice.»
Guardò la spillatrice, guardò me, lasciò la spillatrice e cominciò a seguirmi. Arrivammo all'ufficio accanto. Seduta davanti al computer c'era una ragazza, e che ragazza! Non so descrivervi tutta quella generosità che madre natura era riuscita a darle. Io, in quel momento, ho iniziato a pensare che raccogliere graffette in quell'ufficio non doveva essere poi così tanto male. E a giudicare dall'espressione del mio amico, sarebbe stato d'accordo anche lui.
«Desidera?». Con una voce da bambola.
«Mi servirebbe una cartuccia per continuare il lavoro di stampaggio». La mia voce non fu mai così rauca.
«Ok, compili e firmi questi moduli».
Erano due pagine piene di righe incomplete. Nessuno mi aveva parlato di moduli, e no eh! Avrei preteso almeno 10 crediti in più, ma la presenza divina di quell'essere riusciva a ripagarmi tutto.
Iniziai a compilare i moduli, finché:
«State insieme?». Diretta all'amico accanto.
«Sì.». Rispose. Era la prima volta che sentii la sua voce. Forse era un miraggio. Sarò schietto: ero troppo concentrato sulla presenza femminile dietro la scrivania.
Fu in quel momento che si generò il caos. La ragazza disse:
«Siete fidanzati»
. . . . . . . . . . .______________ biiiiiiiip.
Il cuore aveva smesso di pompare. Io, fidanzato con quello che manco sapevo il nome? Ma poi, era un uomo, cazzo! La mia attitudine sessuale è verso quelle sclerate delle femmine, non gli uomini.
Quello fu l'inizio di questa storia. Il prologo. Ma riesci ad immedesimarti in me?
Una ragazza di tale fattura ti da dell'omosessuale contro ogni tua vera tendenza. Senza conoscerti, senza sapere un cazzo, ti pregiudica e ti giudica. Cosa ti può passare dalla mente? Ovvio! Ogni piccolo difetto di te. Ecco quello che ti passa per la testa. Inizi a pensare: "Ecco, lo sapevo! Non avrò mai una ragazza perché la gente pensa che io voglia altro. Ho i capelli che lo fanno pensare. Porto vestiti che forse non avrei dovuto indossare. Le scarpe non vanno bene. La mia voce non va bene. Il modo di fare non va bene........." ecc...
Ma sapete l'unica cosa che è in errore? Lei. La mia mente è strana, molto strana. Prese quelle parole come una sfida.
La morale è che iniziai ad essere attratto follemente da quella ragazza.
Quell'incontro finì molto presto. Probabilmente l'amico mi aveva pure detto il suo nome, ma io ero troppo impegnato verso la mia vendetta contro quella ragazza per ascoltarlo. Fu così che decisi di attuare il più malvagio dei piani. Non ve lo racconterò nei dettagli, ma ne farò un riassunto.
L'ho incontrata il mercoledì sera. Lei non poteva ricordarsi di me perché quella sera avevo i capelli corti e avevo indossato gli occhiali. Facendo finta di essere ubriaco, riuscii ad avvicinarmi a lei. Per un po' ebbe paura perché ci credette per davvero che io fossi ubriaco. Poi iniziai a filosofeggiare, a sputare quelle frasi che scavano nel profondo di ogni donna portando fuori quelle cicatrici che il tempo le aveva seppellito. Sputavo cazzate insomma. Cazzate che per un'adolescente erano modelli di vita. Il fatto che io sembrassi ubriaco riusciva a far uscire fuori la parte assopita di lei, a renderla libera di comportarsi come le pareva. Ero riuscito a farla sentire viva, a farla sentire bene.
Ormai era fatta. Freddo e cinico mi avviavo verso la vittoria.
Ma ecco, che spuntarono fuori i miei sensi di colpa. Iniziai ad innamorarmi poco a poco. Pensai che forse era sbagliato farle del male per vendetta, che forse avrei potuto tenermela, provare andare più a fondo. Era una bella ragazza, sarebbe stato uno spreco.
Invece no. Per mia fortuna, la vendetta vinse sull'amore. La storia finì con lei che, quella notte, provò dolore. Tanto dolore. Tutto il dolore che io avevo programmato nella mia vendetta. Le feci vedere io, chi era l'omosessuale. Sfogai tutta la mia rabbia quella sera. Mi sentivo una bestia, mi sentivo vivo, mi sentivo me stesso. La violenza scorreva nelle vene insieme al dolore, ma l'effetto era tutt'altro che brutto e doloroso.
Fu una notte violenta e carnale. Avevo avuto la mia vendetta. Ho avuto la mia vendetta. Sebbene la buon riuscita di questa prefissa l'ipotesi dell'esistenza di uno sconfitto, quella notte fummo tutti vincitori. Ebbene sì, io vincitore, lei vincitrice. Chi per sesso, chi per amore, chi per vendetta. Anche il mio amico fu vincitore, per il successo però. Infatti fu promosso alla stampante perché io decisi di abbandonare l'idea del lavoretto extra e dei due crediti.